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sabato 12 febbraio 2011

INIZIAZIONE E MASSONERIA prima parte







+BULLY e - BALLE
LADY HA PROMESSO DI ASPETTARMI...TUTTE LE VOLTE CHE..POSSO AVER BISOGNO DI LEI, ED IO SÒ CHE NE AVRÒ BISOGNO...COME SEMPRE NE HO. LEI È IL MIO CANE
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LETTERA AL DIRETTORE SILVIO di Peter Boom

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Caro Silvio, chi scrive ha la Tua stessa età, ha fatto anche lui il cantante a
bordo delle navi di crociera (Angelina Lauro, Homerick, Siosa). Certamente non
sarò io a giudicarTi per il fatto che Ti piacciono le ragazze. D'altronde la
gioventù piace alla maggior parte delle persone.  Durante la mia vita ne ho
combinate tante e dopo aver scoperto a 23 anni il mio lato omosessuale mi sono
divertito ancora di più soprattutto durante i miei frequenti viaggi e negli
anni che avevo un compagno stabile.
Ho vissuto bellissime esperienze di amicizia, affetto e di vero amore con
ragazzi (18 – 32 anni) che avevano il coraggio di stare e/o abitare con me.
Coraggiosi perché l'attivismo gay mi ha sempre fatto vivere le mie tendenze
apertamente. Il sesso non è peccato! Perché nasconderlo?
Molti avevano, e hanno tuttora, paura di farsi vedere con me. Ridicolo, vero?
Quando una persona diventa famosa o è detentore di poteri come Te, allora la
situazione diventa ancora più difficile proprio perché si ritiene che non sia
possibile trovare una amicizia, un affetto o addirittura un Amore vero. Tutti
davanti a Te si inchinano, vorrebbero ottenere favori, col risultato che Ti
fanno sentire circondato da montagne altissime d'ipocrisia. Quando poi qualcuna-
o dovesse sentire vero affetto per Te non ci crederesti più.
Così  è andata ad altre persone arrivate in cima alla notorietà, portandole
all'autodistruzione come anni fa era successo al mio carissimo amico Nino che
poi fortunatamente si è ripreso.
Per quelli della nostra età esistono le giovani o i giovani gerontofili che si
sentono attratti maggiormente dalle persone anziane. Uno di questi circa tre
anni fa mi disse che per lui ero ancora troppo giovane.
In un mio discorso a Limassol (Cipro) nel 2002 al congresso della European
Federation of Sexology ho detto tra l'altro che “per ognuno c'è sempre
qualcuno” (http://www.pansexuality.it).
Quando si paga (o favorisce in altro modo) una persona per la sua prestazione
sessuale non c'è amore o affetto, ma solo sesso. La stragrande parte degli atti
sessuali sono determinati unicamente dalla nostra spinta sessuale ed è
sacrosanto, è la NATURA.
Il sesso può essere vendibile, l'affetto e l'amore no, quelli sono sentimenti
profondi. Naturalmente i sentimenti si possono fingere, ma allora non sono più
veri.
Neanche il Papa aveva capito questo quando ha pronunciato la seguente frase.
“Voi giovani non potete e non dovete adattarvi ad un amore ridotto a merce di
scambio, da consumare senza rispetto per sé e per gli altri, incapace di
castità e purezza”.
Ripeto, l'amore o un sentimento non sono vendibili, non possono essere merce
di scambio!
Però, quando si cerca solo sesso,  questo non sembra bastare mai, rimane solo
uno sfogo della nostra spinta sessuale. In fondo si cerca anche affetto, una
completezza psico-fisica. Si può pagare sperando di trovare così un sentimento
autentico nell'altra/o, ma ... diventa poi difficile riconoscerlo. Quando ci
sono di mezzo gli interessi le finzioni aumentano.
Quando ci troviamo più avanti con l'età vorremmo godere ancora degli ultimi
spruzzi e sprazzi della nostra esistenza, ma forse sarebbe il caso di fermarsi
un po'. Può darsi, che quando meno Te lo aspetti, arrivi un'esperienza
appagante, bellissima. E forse anche no, chi lo sa.
Non sta a me giudicare, cerco solo di capire e non posso sapere se hai
commesso i reati che molti Ti ascrivono. Per quello bisognerà attendere i
giudici che purtroppo devono lavorare con gli strumenti a loro disposizione che
sono farraginosi, spesso contraddittori e che possono prolungare i tempi di
giudizio in modo intollerabile.
Peter Boom.
http://digilander.libero.it/pboom
http://www.pansexuality.it (testi in italiano, inglese, francese)
COPYLEFT

 

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giovedì 3 febbraio 2011

POESIA ATTUALE, scritta 150 anni fà (Gioacchino Belli)

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Se pensate che questo sia un sonetto di ignoto poeta moderno romano pubblicato da "La Repubblica" o da "Il Fatto Quotidiano" vi sbagliate di grosso.
E' stato scritto circa 150 anni fa da Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863). Che avesse anche lui letto le intercettazioni ordinate dalla Procura di Milano? Mistero

 

Mentre ch'er ber paese se sprofonna
tra frane, teremoti, innondazzioni
mentre che so' finiti li mijioni
pe turà un deficì de la Madonna
Mentre scole e musei cadeno a pezzi
e l'atenei nun c'hanno più quadrini
pe' la ricerca, e i cervelli ppiù fini
vanno in artre nazzioni a cercà i mezzi
Mentre li fessi pagheno le tasse
e se rubba e se imbrojia a tutto spiano
e le pensioni so' sempre ppiù basse
Una luce s'è accesa nella notte.
Dormi tranquillo popolo itajiano
A noi ce sarveranno le mignotte

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INIZIAZIONE E MASSONERIA

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INIZIAZIONE E MASSONERIA

La Massoneria non esiste nell’isolamento. E’ vero che pratichiamo i nostri rituali a porte chiuse, e ben sorvegliate; ma facciamo così non per separarci dalla società, ma per concederci un tempo senza tempo. Attraverso i nostri rituali viviamo l’esperienza di essere pienamente umani; e in questo periodo di tempo siamo completamente concentrati nel lasciare che l’esterno ci guidi verso l’interno. Nei nostri rituali tutti procediamo - talora con baldanza, talaltra con esitazione - verso la porta principale. Dobbiamo però confrontarci con un enigma: per riuscire ad entrare, dobbiamo essere iniziati ai suoi segreti; ma, al tempo stesso, essere iniziati è entrare; il prezzo della chiave è la chiave stessa. Abbiamo chiaramente bisogno di approfondire maggiormente la questione.

La Massoneria è un viaggio iniziatico: ciò è e resta la sua principale ragione d’essere. Ma, innanzitutto, che cos’è che induce qualcuno a cercare l’ iniziazione? La risposta è ben delineata dall’iniziato Sufi e poeta Rumi:

“Giare di acqua di sorgente non bastano più.

Portaci al fiume”.[1]

E al fiume dobbiamo imparare a nuotare. Per essere iniziati dobbiamo essere parte del processo stesso, perché il rito di iniziazione implica il nostro coinvolgimento; richiede che ci abbandoniamo ad esso. Il rito, di per sé solo, non ci conduce sul sentiero che cerchiamo; è piuttosto la nostra partecipazione ad esso a far sì che ci uniamo a questo viaggio verso la percezione e la conoscenza.

Gli antichi conoscevano bene questo sentiero, e le figure di spicco del passato lo tenevano nel giusto conto. Cicerone, iniziato ai Misteri e capo degli Auguri di Roma, scrisse:

“Tra le molte eccellenti e pure divine istituzioni che la vostra Atene ha prodotto e con cui ha contribuito alla vita umana, nessuna, a mio avviso, è migliore di quei misteri. Perché per loro mezzo siamo stati tratti dal nostro barbaro e selvaggio modo di vivere, ed educati, e raffinati, e condotti alla civiltà; e come i riti sono chiamati “Iniziazioni”, così in verità abbiamo appreso da essi gli inizi della vita e abbiamo ottenuto il potere non solo di vivere felicemente, ma anche di morire con una speranza migliore.”[2]

Seneca scrisse che esistono

“… riti di iniziazione per mezzo dei quali sono rivelati non i misteri di un qualche tempio municipale, ma quelli del mondo stesso, vasto tempio di tutti gli dei.”[3]

Così, per essere chiari: l’iniziazione implica un incontro con il sacro. Perché l’iniziazione è connessa alla trasformazione. E con questo sfioriamo qualcosa che risulta integrato con la nostra stessa umanità, per quanto molti scettici e critici possano provare a negarlo.

* * *

Innanzitutto, comunque, dobbiamo avere una panoramica del paesaggio attraverso il quale condurremo il nostro viaggio. Una domanda fondamentale è: quando è successo che gli esseri umani hanno incontrato per la prima volta il sacro? Impossibile rispondere. Forse allora la vera domanda va posta in altri termini: quando è successo che gli esseri umani hanno per la prima volta perso il loro contatto con il sacro e sono divenuti consapevoli della loro separazione, ovvero consci di un “Sé” indipendente? Ritengo che questo sia simbolicamente rappresentato dalla storia di Adamo ed Eva scacciati dal Giardino dell’Eden; ma, ancora una volta, è in realtà impossibile rispondere. C’è, tuttavia, una domanda correlata alla quale credo si possa tentare di rispondere: quando è successo che gli esseri umani hanno visto una distinzione tra i mondi terrestre e celeste?

Direi che questo passaggio sia contrassegnato dal cambiamento nelle pratiche relative alla sepoltura notate dai paleontologi. Sono state trovate prove di deliberate inumazioni in caverne risalenti a circa 120mila anni fa in Israele[4]. I corpi sepolti in queste caverne appartenevano ad una prima versione della nostra specie Homo sapiens sapiens. A partire da circa 100mila anni fa troviamo inumazioni di un’altra specie, quella dell’Uomo di Neanderthal: ne sono conosciute una sessantina. In breve, quella dell’inumazione è una pratica trasversale: è esistita attraverso le specie e attraverso le culture ed è rimasta costante a partire da quell’epoca; sino all’ultima Era Glaciale sono note circa 150 sepolture cerimoniali.[5] Certo, queste sepolture possono essere state concepite semplicemente per evitare il cattivo odore della decomposizione o le malattie. Sebbene sia strano che debbano essersi verificati casi di sepoltura in caverne che erano anche utilizzate come abitazioni, non possiamo trarre nessuna conclusione forte da questo fatto.

C’è però di più: un certo numero delle sepolture neanderthaliane rivela non solo la deliberatezza dell’atto di inumazione, ma anche associazioni ritualistiche. Nella prima di esse, in Asia Centrale, circa 100mila anni fa un giovane Neanderthal fu inumato circondato da paia di corna di capra; in un’altra, trovata a Le Moustier, in Francia, circa 75mila anni or sono il morto venne coperto di ocra rossa, la testa su un piccolo tumulo di selci, e ossa bruciate di bestiame furono sparse intorno ad esso; in una caverna a Shanidar, Iraq, un corpo pare essere stato adagiato su un letto di fiori.

Ora, tutto questo che cosa significa? Queste non sono solo sepolture concepite per evitare pericoli per la salute; qui è implicato qualcosa di più profondo.

Non possiamo evitare di concludere che un evento così evidenziato, un tale rispetto per il morto, rivelano che questi esseri umani primitivi avevano un concetto di un altro mondo: di un altro modo di esistere. Queste sepolture ci rendono noto che i popoli antichi conoscevano la simultanea esistenza di due mondi, o credevano in essa; il mondo fisico dell’esistenza in cui noi nasciamo, cresciamo e moriamo; e quel mondo non fisico nel quale la morte ci conduce. Con queste sepolture quegli uomini sottolineavano la transizione dall’uno all’altro, dal temporale all’eterno. Queste sepolture registrano - per così dire - il processo di iniziazione.

Abbiamo il diritto di trarre questa conclusione? Io credo che lo abbiamo.

Decine di migliaia di anni dopo la realizzazione di queste prime sepolture, si è sviluppata la scrittura. Nella cultura occidentale, è originata in Mesopotamia con primitive registrazioni commerciali. Nel terzo millennio a.C. questi semplici pittogrammi erano già evoluti in un linguaggio complesso e sofisticato.

E con questi nuovi mezzi di espressione cosa si scelse di rivelare? Quali storie si sono narrate dell’umanità e del suo destino? Si è raccontata la storia di un uomo, Gilgamesh, che aveva viaggiato da questo mondo al prossimo. Una storia probabilmente molto antica, parendo piuttosto inverosimile che sia stata costruita per approfittare dell’invenzione della scrittura.

Gilgamesh era descritto come un re dell’antica Uruk, un uomo crudele e violento. Preso però dalla paura della morte, volle trovare il segreto della vita eterna. Abbigliato rozzamente, abbandonò il suo trono e lasciò la città per iniziare una vita di vagabondaggio. Scelse di entrare nell’altro mondo, disse, per “lasciare che i miei occhi vedano il sole e siano sazi di luce”. Viaggiò attraverso l’Altro mondo, attraverso le vaste regioni dell’oscurità fino al luogo della luce; emerse in un magnifico giardino traboccante di frutti. Ma, una volta lì, non riuscendo a rimanere sveglio mancò la conquista dell’immortalità e dovette far ritorno in questo mondo.

Egli ebbe la visione, ma dovette successivamente far ritorno al suo compito terreno fino al momento in cui la morte non lo avesse infine chiamato. Gilgamesh fu comunque, sotto ogni definizione, un iniziato. Perché l’iniziazione è accesso alla diretta esperienza di quell’eterno “altro” mondo, un mondo soffuso di Divinità, percepita sino ai nostri giorni in forma di luce infinita, chiara, viva.

Ricerche al momento in corso presso l’University of Wales - contrariamente alle scettiche argomentazioni senza fine sbandierate dai filosofi della religione - hanno rivelato l’esistenza di un “nucleo comune” alle esperienze religiose, trasversale, che attraversa e supera le differenze di fede e cultura. 1000 individui - cristiani, islamici ed ebrei - hanno tutti descritto esperienze religiose di “intensa luce e un senso di amore avvolgente”. I ricercatori dell’Università suggeriscono che l’umanità “condivide una comune spiritualità a prescindere da affiliazioni religiose”.[6]

* * *

Ogni società umana lascia spazio a variazioni in ciò cui l’essere umano aspira; quelle che non lo fanno tendono al fascismo, un regime in cui tutti devono marciare al ritmo dello stesso tamburo. Antiche società, riconoscendo ciò, spesso hanno avuto, oltre le proprie attività domestiche, commerciali e militari, oltre il culto religioso ufficiale, organizzazioni genericamente definite come “I Misteri”. Attraverso i Misteri, la società consente una duplice possibilità di comprendere il simbolismo e i riti presentati pubblicamente.

I Misteri sono esistiti a definitiva soddisfazione di coloro che volevano sapere di più, cercare la vera fonte di quella divinità simbolicamente - ma superficialmente - espressa nelle religioni popolari e nei relativi pubblici culti e pratiche. E, conoscendo di più, questi iniziati ai misteri divennero esseri umani migliori.

Possiamo guardare alla Massoneria come a qualcosa che, in senso generale, riveste un ruolo simile nella società moderna. La Massoneria attrae non tanto gli insoddisfatti - questa è un’altra faccenda - quanto coloro che vogliono arricchire la propria vita conseguendo percezione e conoscenza, e che, così facendo, arricchiscono la vita nell’ambiente loro circostante attraverso la propria moralità e solidarietà.

Tuttavia la stessa Massoneria è una società, e anche all’interno dei suoi rituali e delle sue pratiche possiamo rintracciare prove di una duplice comprensione dei loro significati. La differenza, in Massoneria, è che le due prospettive sono egualmente disponibili a tutti i Fratelli. Questi sono separati semplicemente dalla comprensione; è nel modo in cui guardiamo a quello che stiamo facendo, la chiave.

Sfortunatamente, troppo spesso non guardiamo chiaramente a ciò che facciamo nei nostri riti e non comprendiamo pienamente le parole che stiamo pronunciando. E’ troppo facile, nella battaglia per ricordare le parole, lasciare che il loro significato ci scivoli via. Il rituale non deve essere solo eseguito: deve essere esperito. Ogni rito ha luogo in un ora senza tempo. Ogni rito implica un confronto - delicato o intenso quanto vogliamo che sia - con questo ora senza tempo.

I Misteri del mondo antico avevano al proprio centro una iniziazione. E questo processo, generalmente, aveva luogo durante un periodo rituale di 3 giorni. Il cuore di questo periodo era però l’iniziazione stessa, quando il candidato faceva esperienza di una luce intensa e brillante: la luce della Divinità, che lo abbracciava. E lui, o lei, a sua volta, abbracciava la luce. Apuleio, iniziato ai grandi misteri di Iside, descrisse come aveva viaggiato nell’oltretomba, restando al confine con la morte, e come

“nel mezzo della notte vidi il sole brillare di luce splendente. Sono stato faccia a faccia con gli dei…”.[7]

Dopo una tale esperienza, all’iniziato era ingiunto “di mantenere il silenzio”. E, a loro merito, va detto che nessuno ha mai parlato; non esistono testi sui lavori interni relativi ai Misteri.

Che questa visione iniziatica dell’oltre e la morte stessa fossero connesse fu ben compreso sin dagli inizi. Platone scrisse che chi pratica la filosofia correttamente “pratica nient’altro che il morire e l’esser morto.”[8] Temistio (o, di fatto, probabilmente Plutarco) concordava:

“L’anima (in punto di morte)”, affermò, “ha la stessa esperienza di coloro che sono stati iniziati ai grandi misteri…”[9]

E la connessione rimane vera tuttora: perché, del resto, non dovrebbe essere così? Cerchiamo di non commettere errori: qui non stiamo parlando simbolicamente, stiamo parlando letteralmente. Il mondo divino esiste, letteralmente, di questo non c’è alcun dubbio, per quanto possiamo trovarci costretti dalle limitazioni del linguaggio ad esprimerlo simbolicamente. Ed esiste non in un qualche altrove lontanissimo, ma proprio qui, qui e ora; soffonde il nostro universo, ed ogni altro che possa esistere. Ancora di più: è tutto ciò che esiste.

Inoltre, è possibile per noi attraversare questo Altro mondo, avere una fugace visione del suo splendore, prima di tornare alle occupazioni che ci sono assegnate qui; fino al momento di morire, quando ripercorreremo quella strada ma senza far ritorno.

Questo è iniziazione: restare in piedi per un momento alla soglia di questo eterno mondo divino. Non può mai sfuggirci, né andare perduto; può solo essere dimenticato, le mappe che ne mostrano l’accesso possono essere messe nel posto sbagliato e quindi smarrite. Ed è proprio questa l’importanza del rituale: perché parte di questo processo ha a che fare con il lasciarsi rammentare dov’è la porta e cosa c’è oltre essa.

L’iniziazione ha luogo in un eterno qui e ora; è una trasformazione spirituale agevolata da un rituale che eleva la consapevolezza di ognuno, così che agli eventi profondi, piuttosto che a quelli mondani, sia data l’opportunità di occorrere. Prima, però, le fondamenta della personalità e del condizionamento sociale devono essere scossi, addirittura infranti; il candidato deve oltrepassare la sicurezza e il comfort del suo mondo ordinario; e soprattutto deve avere coraggio.

Tutta questa conoscenza è incastonata nei rituali dei nostri tre gradi di Craft masonry: è su questa saggezza che la Massoneria è costruita; il suo viaggio è un viaggio di conoscenza del mondo divino. E lungo la strada impariamo le nostre responsabilità verso questo mondo.

Incresciosamente, ci sono custodi della Massoneria che attraverso gli anni non sono rimasti fedeli alle intense profondità della sua visione. Questi si sono concentrati sulle parole del rituale, piuttosto che sul loro significato. Ancora peggio, ci sono quelli che schivano qualunque possibilità di comprensione più profonda; la scartano, come troppo esoterica, dimenticando che essere Massone è un modo di vivere nel senso più profondo del termine. Del resto, c’è chi è in cerca di promozione più che di percezione.

Il Mistero della Massoneria ha molti antichi paralleli: Apuleio descrive i Misteri di Iside in tre gradi di iniziazione; i Misteri di Mitra avevano sette livelli.

Anche la Massoneria mostra numerosi esempi dell’uso simbolico del tre o del sette: tre gradi; sette per formare una perfetta loggia. Sappiamo anche che il Cristianesimo ha avuto una propria tradizione misterica, quella del “Regno dei Cieli” che è in qualche modo correlata con un periodo di tre giorni e una buia caverna, o tomba.[10]

Troviamo un eco di ciò in Massoneria: simbolicamente, i 3 Gradi prendono 3 giorni: ognuno è aperto a Oriente all’alba dal Primo Sorvegliante. E il bisogno di Luce è reso drammaticamente evidente al candidato nel Primo Grado. A questo punto, però, egli la comprende solo in quanto luce che gli consente di vedere il mondo esterno - proprio come un neonato -, non essendo ancora stato tratto ad una più profonda comprensione del termine.

I nostri 3 Gradi ci insegnano molte cose:

(innanzitutto) chiedono una promessa: di continuare a progredire nel cammino iniziatico, di mantenere i segreti che sono rivelati e di osservare i principi della massoneria e della fratellanza;

(in secondo luogo) spiegano quali siano le responsabilità della fratellanza: moralità, solidarietà e amore fraterno;

(in terzo luogo) implicano un viaggio simbolico di tre giorni: un pellegrinaggio, una cerca. E questo comprende il cuore dei rituali. Il lavoro dell’iniziato è la sua cerca, che è rivelata come quella della Parola Perduta; una cerca che non è pienamente risolta se non quando il viaggio è completato nell’Arco Reale.

I doveri morali sono ben coperti, ben compresi - ed esemplificati dall’ingente ammontare di denaro annualmente donato in beneficenza dalla Massoneria - e ben appresi da tutti i Fratelli. La cerca, comunque, è piuttosto qualcosa di più occulto.

Il Terzo Grado parla della tomba e dell’oltre; e della conoscenza di sé. Il Secondo Grado parla dei misteri della natura e della scienza. E tuttavia, curiosamente, rifiuta di perseguirli. Dobbiamo farlo per conto nostro. Il Primo Grado parla del primo esitante passo che diviene pietra fondamentale sia della Massoneria stessa, che del tempio interiore che ogni essere umano deve laboriosamente costruire, un ashlar levigato dopo l’altro, su fondamenta di Verità Morale e Virtù.

All’inizio della cerimonia del Primo Grado, il candidato all’iniziazione è bendato: è posto in uno stato di oscurità, che simboleggia il normale, non-illuminato stato dell’uomo. Da tempi remoti molte di tali iniziazioni cominciavano in questo modo, con il candidato letteralmente all’inizio di quel sacro viaggio dall’oscurità alla luce. L’Urna Lovatelli, qui a Roma, porta raffigurato un iniziando (o una inizianda) ai Misteri Eleusini, appunto con la testa coperta da un velo.

Un antico rituale massonico del 1751 - scritto in francese ma pubblicato in Inghilterra - spiega che la benda, e la conseguente periambulazione per la Loggia, devono ricordare al candidato

“che un uomo che si trovi nell’oscurità dovrebbe avanzare verso la luce e cercarla.”[11]

Per entrare in Loggia si bussa tre volte sulla porta. Che tale pratica sia molto antica lo scrisse nel 1730 Samuel Pritchard nel suo testo, Masonry Dissected, che ne registrava l’uso.[12] Essa simboleggia i tre violenti colpi alla testa con i quali il Maestro Costruttore del Tempio di Salomone fu assassinato. Un testo del 1744 supera peraltro questa semplice interpretazione, spiegando, invece: “Bussate, e vi sarà aperto; chiedete, e vi sarà dato; cercate, e troverete.”[13] Entriamo liberamente; e liberamente chiediamo di avanzare.

Dopo l’ammissione del Candidato, ecco una delle più potenti dichiarazioni d’intento di tutta la Massoneria. Il Candidato si inginocchia, il Cappellano chiede l’Aiuto Divino per la conduzione del rituale e il futuro progresso del candidato: che egli possa sempre servire Dio; che questa Divina saggezza - assistita dai segreti della Massoneria - possa rendere il candidato capace di “contemplare le bellezze della vera devozione”; e che ciò possa essere a servizio di Dio, non dell’individuo.

E’ a questo punto che il candidato è condotto, bendato, lungo un circuito sul pavimento della Loggia. Il suo viaggio lo conduce ad est, dove, su un libro sacro, assume i suoi obblighi. Solo allora è restituito alla luce.

Con ciò, egli arriva alla fine del suo primo viaggio in Massoneria; che immediatamente si dimostra essere l’inizio di un altro. E’ questo il percorso massonico. Ogni apparente arrivo ci lascia sulla soglia di un ulteriore viaggio.

Il simbolismo del Primo Grado è ridotto all’essenziale. Dal momento in cui il candidato all’iniziazione entra nella Loggia, intraprende questo antico viaggio dall’oscurità alla luce. Per lui, in quel momento, è puramente simbolico. Con il progredire dei Gradi, però, all’avanzare della sua vita lungo il proprio percorso ora assistito dalla Massoneria, egli avrà molte opportunità di trovare un significato molto più profondo sotto la lettera delle parole. Opportunità che vantaggiosamente egli può essere incoraggiato a cogliere.

Il momento culminante di questo misterioso viaggio si situa al 3° Grado al momento dell’esortazione. Vorrei ora dare un’occhiata più da vicino a questo e tentare di rintracciare il suo significato. Quale visione trova espressione in determinate parole?

Possiamo dividere questa esortazione in 3 sezioni:

La prima sezione parla del ‘misterioso velo che l’occhio della ragione non può penetrare’; esprime la relativa oscurità nella quale le nostre vite sono condotte, una relativa oscurità che non può essere alleviata per mezzo del nostro uso della ragione; occorre qualcosa di più.

Ora, molti massoni che la pronunciano non sono consapevoli che si tratta di un’affermazione radicalmente rivoluzionaria; un’affermazione sviluppatasi su una materia vecchia almeno 2500 anni. I primi filosofi, quelli apparsi prima di Socrate e Platone, come Parmenide, Empedocle e Pitagora, non erano solo abili nella discussione: erano tutti guaritori, dottori e sciamani tanto quanto filosofi. Non si limitavano a parlare o argomentare sulla divinità, la esperivano anche.

Avevano, come la ricerca e l’archeologia hanno provato, stretti rapporti con gli insegnamenti dell’antico Egitto: gli scavi archeologici di alcune tombe greche - in particolare di alcune a Thurii, nell’Italia meridionale - hanno portato alla luce sottili lamine in oro con testi ascensionali tratti dall’egiziano Libro dei Morti. Questo titolo è peraltro moderno: gli antichi lo chiamavano “The Book of coming forth by day”, ovvero della presentazione al cospetto della Luce. Possiamo vedere il nesso.

Il più antico testo egiziano che conosciamo, Il libro dei morti, contiene nel proprio titolo il termine sakhu, che vuol dire trasfigurazione, ad indicare che mira a trasformare una persona in uno “spirito che è divenuto uno con la luce.”[14]. Ci viene ricordata l’ingiunzione di Ermete Trismegisto - una delle personificazioni classiche dell’egizio Tehuti, o Tot, o Thoth, il grande iniziatore - che affermò: “Ma tu contempla la luce con l’intelletto e impara a riconoscerla”.[15]

Sfortunatamente, nel tardo IV secolo a.C., Platone staccò gli aspetti esperienziali dalla filosofia e sviluppò la prassi che ora riconosciamo: quella di una ricerca del cuore della realtà basata sull’argomentazione, sulla dimostrazione intellettuale. Così, per quanto grande egli sia stato, non ci ha reso un buon servigio. Ha iniziato il processo del distacco della filosofia dalle proprie radici mistiche.

Aristotele, allievo di Platone, ha portato a termine l’evirazione: non ebbe spazio per altro che non fosse ciò che si può apprendere a mezzo dell’umana ragione. La ragione, a suo avviso, era la sola via verso la verità. Solo 800 anni più tardi, all’inizio dell’era cristiana, un platonista chiamato Plotino, che aveva una profonda personale esperienza del divino, ricondusse la filosofia alle proprie radici mistiche. E il suo più giovane contemporaneo Giamblico andò avanti e introdusse l’uso del rituale, così come di alcuni elementi dai templi egizi. Questo approccio ampio e mistico è ora definito neoplatonismo, ma questa parola è evidentemente un moderno nonsense: questi due filosofi, infatti, ricondussero semplicemente la filosofia alle sue origini esperienziali.

La ragione va bene, è certamente piuttosto utile e sostiene la nostra cultura scientifica e tecnologica; e anche, attraverso Cartesio e Kant soprattutto, la nostra filosofia. Ha a che fare, però, solo con il mondo fenomenico e la nostra realtà è molto più grande di questo. La sola ragione non può comprendere l’irrazionale, il metafisico, lo spirituale. La sola ragione non può penetrare il misterioso velo che ci separa dalla ‘prospettiva - cioè dalla vista - dell’avvenire’: in altri termini, dalla vista dell’eternità.

Non può farlo - arriviamo al punto - se non assistita. Assistita da cosa? L’esortazione nel rituale inglese risponde: da quella “Luce dall’alto”. Dall’influsso della vera conoscenza che è esperita come abbagliante Luce divina. Questo è puro misticismo. Questo è il sole che sorge nel mezzo della notte di cui scrisse Apuleio.

La seconda sezione dell’esortazione insiste, in modo indubbio, sull’importanza della ‘conoscenza di sé’. Riecheggia la preoccupazione degli antichi Misteri: sulla porta d’ingresso dei Misteri greci a Delfi erano incise le parole: “Uomo, conosci te stesso”.

Che cosa significa? Non significa soltanto conoscere cosa ci piace o non ci piace, significa molto di più. Vuol dire conoscere, cioè esperire, che cos’è il vero sé. Qui ancora una volta ci stiamo muovendo oltre l’esterno mondo della superficie in cerca di qualcosa di molto più profondo, molto più intenso. Si tratta di domandarsi: chi sei veramente? Perché sei qui? Cosa ti è richiesto?

Questi interrogativi impliciti trovano immediata risposta nella terza sezione dell’esortazione.

Questa terza sezione comincia così: “Abbi cura di portare a termine il compito che ti è stato assegnato finché è ancora giorno”. E come si può essere sicuri di adempiere tale compito correttamente? Prestando ascolto alla ‘Voce della Natura’. Questa, Fratelli, ci chiede di agire in armonia con noi stessi e con il nostro mondo. Per far ciò abbiamo bisogno di cercare quei momenti in cui la ‘Voce della Natura’ non è sommersa dalle difficoltà e dalla confusione della vita moderna; dall’intenzionale mancanza di riguardo della vita moderna. Dobbiamo ritrovare quegli istanti, prenderci il tempo da dedicare ad essi, fidarci di essi.

Gli intensi momenti di buio dell’ esortazione, nel terzo Grado, ci concedono opportunità per questo. Quando pronunciamo questa esortazione, possiamo utilmente farlo con lentezza per lasciar tempo a questi spazi di entrare in comunicazione con il candidato.

Troviamo, espressi concisamente e drammaticamente nell’esortazione, importanti istruzioni per costruire le nostre vite in accordo con il nostro destino. E qual è il nostro destino? L’esortazione afferma, usando il più antico simbolismo, che è “alzare i nostri occhi alla brillante Stella mattutina, il cui levarsi reca pace e salvezza…”

Questo, Fratelli, serve al tempo stesso ad umiliarci e a ispirarci: non c’è nessuno troppo grande, né troppo potente per cui questo non gli sia direttamente rivolto.

Il riferimento alla Stella mattutina - potrebbe essere Sirio degli antichi Egizi o Venere degli antichi Babilonesi - non deve essere inteso letteralmente per quanto si tratti di un simbolo bello e ritemprante, un simbolo di una nuova luce che segue l’oscurità.

Questa Stella mattutina sorge dentro, è la prima visione della Luce dall’alto. Il Nuovo Testamento avverte,

“fate attenzione… fino allo spuntar del giorno, e la stella mattutina sorgerà nei vostri cuori”.[16]

L’esperienza di questa Luce reca pace, reca salvezza. Conoscendo questa Luce - quando capita che accada nella vita - si passa attraverso il velo che prima separava l’eternità dalla nostra portata. Si è arrivati alla fine del viaggio; si è scoperto il “principio vitale e immortale”. Si è trovato il mondo che si era perduto. Questo è, in verità, il nostro destino.

E’ questo segreto, aperto a tutti ma (ri)conosciuto da pochi, il cuore della Massoneria. E’ un segreto che deve essere esperito, non semplicemente recitato. Ed è questo il primo impegno dell’esortazione al Maestro Muratore che ha appena assunto i propri obblighi.

Il rituale è il cuore della Massoneria; cenare insieme è la più antica celebrazione dei suoi frutti. Senza rituale non ci sarebbe nulla da celebrare.

Il rituale è una condivisione nell’assenza di tempo. La sua forma immutata ci aiuta a liberarci del tempo mondano. Ci sono momenti in cui la quiete e il silenzio precipitano dalle parole e dal movimento. E, seduti nella loggia, si è consapevoli del morbido abbraccio dell’eterno.

E tuttavia, usato nel modo sbagliato, il rituale può portare restrizioni piuttosto che libertà, la sua forma può dettare piuttosto che lasciar accadere. Dobbiamo, almeno, fare maggiormente uso di silenzio e calma per cogliere ogni opportunità che i rituali ci conducano con sé.

La Massoneria resterà sempre un viaggio: dall’ignoranza alla conoscenza; dall’egoismo alla compassione e alla carità. Quando entriamo in massoneria, con le nostre prime parole al Maestro di loggia, attestiamo la nostra libertà. E’ questa libertà che ci consente di andare avanti nel nostro viaggio dall’oscurità alla luce; dal centellinare l’acqua di sorgente dalla giara al dissetarci direttamente al fiume.

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[1] Jelaluddin Rumi, Jars of Springwater, in The Glance, trad. inglese di Coleman Barks, New York, 1999, p. 1.

[2] Cicerone, De Legibus, II, XIV, 36.

[3] Seneca, Epistulae morales, XC, 29.

[4] Timothy Taylor, The Buried Soul, London, 2002, p. 34.

[5] Ibid., p. 31

[6] “The Daily Telegraph”, London, 11 aprile 2001, p. 11.

[7] Apuleius, Metamorfosi, XI, 23.

[8] Platone, Fedone, 64a.

[9] Temistio, Sull’anima, citato in Farnell, The Cults of the Greek States, Oxford, 1907, III, p. 179. Questo testo è attribuito a Temistio ma Walter Bunkert, Ancient Mystery Cults, Cambridge (Mass.), 1987, p. 162, n. 11, ne ritiene effettivamente autore Plutarco.

[10] Per una decsrizione degli insegnamenti segreti di Gesù in termini di “mistero del regno dei cieli” si veda Matteo, 13,11; Marco, 4, 11; Luca, 8, 9-10. Cfr. anche Michael Baigent, The Jesus Papers, San Francisco-Londra, p. 225-233.

[11] Le Maçon Demasqué, London, 1751 in Harry Carr (ed.), The Early French Exposures, London, 1971, p. 427.

[12] Samuel Pritchard, Masonry Dissected, London, 1730, in Douglas Knoop, G.P. Jones & Douglas Hamer, The Early Masonic Catechism, Manchester, 1943, p. 111.

[13] Catechisme des Francs-Maçons, Limoges, 1744, in Harry Carr, ibid., p. 107.

[14] Stephen Quirke, Ancient Egyptian Religion, London 1992, p. 159.

[15] Corpus Hermeticum I: Poimandres, 6, in Clement Salaman, Dorine van Oyen & William D. Wharton (trad.), The Way of Hermes, London, 1999, p. 18. (Per la trad. italiana si è fatto riferimento al Corpus Hermeticum nell’edizione a cura di I. Ramelli, ed. Bompiani; il testo inglese riporta: “But perceive the light and know it”, ndr.)

[16] Pietro, II, 19.

 

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LADY HA PROMESSO DI ASPETTARMI...TUTTE LE VOLTE CHE..POSSO AVER BISOGNO DI LEI, ED IO SÒ CHE NE AVRÒ BISOGNO...COME SEMPRE NE HO. LEI È IL MIO CANE

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